Presentazione della mostra a cura di Francesco Giacobbi - Presidente Carifano Spa
La mostra documentata in questo catalogo è la terza antologica di Attilio Alfieri ospitata dalla sua regione di origine. È come se il nostro territorio sentisse il bisogno di familiarizzare con un artista che gli appartiene – non soltanto perché vi è nato –, ma con il quale ha avuto rapporti sporadici e perlopiù tardivi. L’itinerario creativo di Alfieri ha avuto inizio e si è svolto soprattutto a Milano.
Nel capoluogo lombardo il pittore nativo di Loreto ha frequentato gli ambienti cruciali per la storia dell’arte e dell’architettura italiana del XX secolo: la galleria del Milione e il suo fondatore, Edoardo Persico; la pattuglia degli architetti razionalisti capitanati da Giuseppe Pagano e Giuseppe Terragni; il movimento di Novecento, a cui aderivano gli artisti in linea con la politica culturale del regime, ma soprattutto i suoi oppositori, raccolti in gruppi come quello dei Chiaristi prima e di Corrente poi.
Eppure, nonostante queste frequentazioni, Alfieri non ha smesso di essere appartato: nel corso della sua storia, anzi, l’essere un non-allineato è stato quasi un tratto distintivo, che gli è valso la stima di pochi ma ottimi intellettuali e artisti, l’incomprensione di altri.
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Questa sorta di “isolamento illustre”, declinato in parecchie e talora apparentemente op- poste varianti, accomuna alcuni tra i più interessanti pittori marchigiani novecenteschi. Da Osvaldo Licini a Gino De Dominicis, passando per Scipione, Walter Valentini e molti altri – che talvolta, come Licini, si sono radicati nel loro luogo di nascita, altre volte, come De Dominicis e lo stesso Alfieri, hanno invece scelto di lasciarlo per immergersi interamente nel clima culturale di una grande città –, il bisogno di percorrere strade il meno possibile battute, per quanto nel cuore della modernità, è stato una costante degli artisti nati nella nostra regione. Sarebbe difficile, e forse anche inutile, cercare a tutto ciò delle ragioni intrinseche a un’indole marchigiana: però non possiamo esimerci dal constatarlo, e dal riscontrarne la fecondità. Nel caso di Alfieri, lo starsene in disparte ha significato sperimentare vie temerarie che gli sono valse la fama, meritata, di precursore delle più avanzate tendenze dei linguaggi espressivi del Novecento. Ha inoltre comportato un tono di autenticità, una libertà dalle mode stilistiche, una profondità teorica e un’accuratezza formale che ne attestano il valore e la rilevanza storico-artistica.
Come già rilevava Armando Ginesi nel catalogo dell’antologica organizzata dal Comune di Loreto nel 1989, i rapporti tra il pittore e la sua città natale non sono stati sempre facili. Per un certo periodo è parso arduo accettare che il giovane minuto, figlio di genitori analfabeti, che aveva lasciato Loreto in un clima di freddezza nei primi anni venti, fosse diventato un singolare protagonista della scena artistica nazionale. La completa riconciliazione tra Alfieri e le Marche però è stata sancita dal ciclo di splendidi paesaggi del Conero dipinti da Alfieri soprattutto nei suoi ultimi anni di attività. In un certo senso, poi, questa mostra vuole essere un ulteriore atto di risarcimento nei confronti dell’artista. Il verbo “risarcire”, inteso in chiave etimologica, perde ogni sfumatura monetaria per indicare – attraverso il latino “sarcīre” – un gesto di concreta riparazione, di riconnessione, ma anche, letteralmente, di “ricucitura” di un legame troncato o smarrito. Questa peculiare riconnessione è un fine, tutt’altro che secondario, della presente esposizione.
Testo catalogo di Roberto Borghi