Mostra Antologica 1930/1980
Milano, Palazzo Reale, 5 giugno - 30 agosto 1981
Testo presentazione di Attilio Alfieri
La presente mostra antologica è un riassunto di pittura, pannelli-collage, grafica e cartellonistica, svolto dal 1930 al 1980. Esperienze che la critica odierna considera tali. Non allora, in quanto quelle esperienze non erano programmate di avventurismo di “ricerca“. Non un tentativo di individuazione: un manifesto messaggio per la formazione di un gruppo che ne convalidasse le mie ricerche inconsapevoli. Tutt’altro: se si considera la mia natura sprovveduta culturalmente alla propaganda, è da non credere. Nel momento in cui dovevo eseguire una commissione cartellonistica mi disponevo quasi con inconscia ignoranza e presunzione, pur sentendo di dare una certa responsabilità e peso alla mia nuova identità, ignaro della portata (non dell’ostile temperie culturale di allora) mi indugiavo con informazione labile di taluni nuclei di verifica, quali il “dadaismo“ e il “cubismo“. Archetipi che forse riproposi per uno scavo dell’oscura rimemorizzazione della mia adolescenza, della mia gioventù, quale esaltazione dell’antico artigiano? Mi gettavo quasi inconsapevolmente nell’improvvisazione intuitiva al servizio di un’apologia del prodotto.
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Al contrario, se avessi appreso la lezione di Duchamp, Tzara, Arp, ecc. (il mio orgoglio rapportato alla timidezza di sentirmi un dopo dadaista) non avrei certamente osato. Oppure avrei, grazie alla dialettica della loro lezione: tutto è arte, anomala, o eclettica (pur nel termine spregiativo per gli aulici), che non viene esclusa, se del proprio tempo è una realtà incipiente-agente in una rissa di “ismi“: vedi l’esempio dell’affermazione della “pop-art“ ecc.
In tal senso l’avvenimento della “pop“ e di altre situazioni di poetica attinente al mio quotidiano lavoro e di alcuni colleghi di quegli anni, mi hanno suggerito una rivalutazione di esso: trascurato, deriso dalla critica di allora, ancorata a suggestioni ufficiali. Ma la serie di genuine testimonianze della critica odierna potrebbe interessare ancora i disattenti e coloro che cercano all’estero ciò che in casa si è fatto in precedenza. Oltre al mio incipiente modesto contributo va annoverato soprattutto quello del compianto Nizzoli, dei viventi Carboni, Veronesi, Grignani, Max Uber, che la critica nostrana nella sua posizione “novecentesca“ volutamente ignorava considerandolo come un generoso spreco. Mentre, tali testimonianze, inattese, dovrebbero urgere un intelligente riscontro su noi stessi all’interno dello spessore contraddittorio di quel lontano tempo, quale nostra crescita clandestina su di un terreno pur vivificante di avanguardie, per una riappropriazione legittima della cultura nazionale.