Paesaggi
«Opere come brani di vissuto, anche lacerti di un’emotività sottesa alla ricerca di un diverso modo di "vedere per sentire" il paesaggio, soprattutto negli anni ’30 dove Alfieri precorre l’Informale italiano con straordinaria versatilità di intenti nel "ri-costruire" i dati referenziali dell’immagine attraverso il filtro liberatorio dell’istinto ad alta tensione emotiva. Per poi ritrovare, dagli anni ’60 agli ’80, un più equilibrato rapporto dialogico, fra l’uomo-nel-paesaggio e l’artista-del-paesaggio: cioè, passando dall’espressività dei "valori" alla contemplazione delle "memorie". Sempre, tuttavia, con l’attenzione di cogliere la fragranza dell’istante nella decantata realtà della rappresentazione». M. N. Varga, Il Conero di Alfieri, catalogo, Galleria Gioacchini, Ancona 1985.
«Quando ero ragazzo andavo spesso scalzo dalle mie zie e, in certe notti, i lampeggiamenti rendevano tutto nero il grande sprone sul mare della costa marchigiana, il Conero, e al tempo stesso, questo mostro sull’acqua brillava di tanti segni per quante asperità, tagli e strade è fatto, e nera era la sabbia sulla spiaggia.
"Guarda là", disse la zia, "quella montagnola sembra una chiappa di donna; l’altra collina un petto con la ’poccia’ (seno)" ... Allora, ovviamente, non registrai il senso erotico di queste osservazioni; ma la sensuosità di quelle forme venne affiorando più tardi, nel mio inconscio, senza turbare la mia incipiente sensualità al richiamo di quelle prime impressioni. ... Un’emozione acuta, impossibile da dipingere! Pittura non era, ma lo divenne in seguito attraverso l’appassionato esercizio della ricerca nel contesto di diverse varianti, quando cominciai a ritrovare in me il mitico adolescente che ero stato, riscoprendomi nella pittura». M. N. Varga, Il Conero di Alfieri, catalogo, Galleria Gioacchini, Ancona 1985.